In perfetta linea con il vento d’estrema destra che tira in Europa, il governo di Praga si sta portando avanti una svolta antidemocratica gravissima in barba alle libertà politiche e alla libertà d’espressione, proponendo di mettere al bando l’opposizione politica comunista. Nel provvedimento si parla esplicitamente di carcere fino a dieci anni per chi milita in un partito legalmente costituito, in crescita, radicato nei territori e nei bisogni popolari.
In Repubblica Ceca, la messa al bando del Partito Comunista di Boemia e Moravia (KSČM) – che viene criminalizzato con la scusa di essere “antisistema” – è il massimo exemplum dell’autoritarismo che si cela dietro quelle che continuano ad essere chiamate democrazia liberali che – con un atto di criminalizzazione del dissenso – stanno facendo di tutto per escludere dalla vita politica un partito proprio alla vigilia delle elezioni. È la reazione isterica di un sistema in piena crisi di legittimità che teme chi ne denuncia la natura profondamente ingiusta, classista e guerrafondaia.
È la conferma che le istituzioni del dominio capitalistico, quando si sentono minacciate, gettano via la maschera democratica e passano alla repressione. Come accadeva durante il fascismo, anche oggi il comunismo viene trattato come un crimine, non per quello che fa, ma per quello che rappresenta: il mezzo di riscatto per i lavoratori, per i giovani, per chi non ha voce.
Se si pensasse che tutto ciò non ci riguarda sarebbe un gravissimo errore. Questo non è solo un fatto che si sta verificando in Repubblica Ceca: è un campanello d’allarme per tutti i popoli europei. La storia ci ha insegnato che dove si mettono al bando i comunisti, presto si metteranno al bando i diritti e la libertà di parola. Chi vieta i comunisti prepara il terreno per portare popoli alla guerra.
Un esempio, in Europa, è proprio l’Ucraina in cui, dopo il colpo di Stato di Euromaidan del 2014 e l’inizio delle rappresaglie dell’esercito ucraino in Donbass, le sue autorità avevano già cercato di vietare il Partito Comunista, accusandolo di finanziare i “separatisti filo-russi in Ucraina orientale”, ovvero le Repubbliche Popolari di Lugansk e Donetsch. Il servizio di sicurezza dell’Ucraina aveva sostenuto di aver fornito la prova di questo al Ministero della Giustizia, che poi ha presentato una mozione per bandire il partito nel luglio 2014. Il procedimento non ha mai avuto luogo perché il giudice designato ha tirato fuori il caso, all’inizio di quest’anno, citando pressioni da parte delle autorità che avevano perquisito il suo ufficio e confiscato i file relativi al caso.
Il 16 dicembre 2015 – con una sentenza Tribunale amministrativo distrettuale di Kiev su richiesta del Ministero della Giustizia d’Ucraina – il governo di Poroschenko ha messo al bando il Partito Comunista d’Ucraina. Una delle prime conseguenze di questa decisione era stato impedire il suo funzionamento ufficiale, ma anche la sua partecipazione alle elezioni, il diritto di manifestare, di distribuire volantini etc. Tale divieto era derivato dai primi segni di attacco alla libertà di espressione, che sono stati registrati nel maggio 2015, quando il Presidente nazionalista d’estrema destra Petro Poroshenko aveva promulgato una serie di leggi adottate dalla Rada, il parlamento ucraino, che vietavano l’utilizzo di simboli comunisti, con azioni penali che potrebbe arrivare fino a 10 anni di carcere. Ai sensi di quattro nuove leggi adottate nel maggio 2015, conosciute collettivamente come “leggi di decomunistizzazione”, esporre i simboli comunisti o nazisti può portare a un procedimento penale e fino a dieci anni di reclusione. Sebbene l’uso del termine “comunista” è esplicitamente vietato da questa legislazione, il Partito Comunista d’Ucraina ha rifiutato di apportare modifiche al suo nome, logo o al suo statuto.
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Anche Amnesty International attraverso John Dalhuisen, responsabile all’epoca per Europa e Asia Centrale, aveva condannato la politica del regime di Kiev sostenuto da USA e governi dell’Unione Europea, affermando:
“Il divieto del Partito comunista in Ucraina è una flagrante violazione della libertà di espressione e di associazione e devono essere immediatamente revocato, ha dichiarato Amnesty International. L’Unione europea (UE) dovrebbe reagire a questo grave attacco alla libertà di espressione, di affiliazione e di associazione nei confronti di un partito democratico che ha sempre agito per il rispetto dell’integrità e della sovranità dell’Ucraina.(…) La messa al bando del partito comunista in Ucraina stabilisce un precedente molto pericoloso. Questa mossa sta spingendo l’Ucraina avanti non indietro nel suo percorso di riforme e maggiore rispetto dei diritti umani. (…) Le mosse da parte delle autorità ucraine per vietare il Partito comunista solo a causa del suo nome e dell’uso dei simboli dell’era sovietica viola i diritti alla libertà di espressione e di associazione e stabilisce un pericoloso precedente nella vita politica ucraina. “
Questa persecuzione neo-maccarthista in Ucraina ha portato ad un acuirsi della repressione non solo verso i comunisti, ma anche verso sindacalisti, militanti antifascisti, pacifisti (come Yuri Sheliazenko, del Movimento pacifista ucraino) e giornalisti ucraini ed europei (tra cui Marc Innaro, Andy Rocchelli, Giulietto Chiesa, Sara Reginella, Franco Fracassi) ed attivisti internazionali come Roger Waters, finiti nella lista di proscrizione governativa ucraina chiamata Myrotvoretz.
Nel 2015 un’ondata di omicidi a sfondo politico rimangono irrisolti e giornalisti e media noti per aver criticato il governo sono stati oggetto di vessazioni. In Ucraina, Mikhail Kononovich, segretario dei Giovani Comunisti Ucraini, e suo fratello Aleksander Kononovich sono da anni accusati di essere spie russe e bielorusse, oltre ad essere stati imprigionati e seriamente minacciati di morte. Nel marzo 2022 il Presidente ucraino Zelensky ha messo fuori legge altri 11 partiti di sinistra.
Stesse situazioni di persecuzione politiche degli attivisti di sinistra e di giornalisti, in questi ultimi vent’anni, si stanno verificando anche nei Paesi Baltici, specialmente in Lituania, Estonia e Lettonia, il cui Parlamento il 16 giugno 2022 ha approvato, con 61 voti a favore e 19 contrari, la legge “Sul divieto di esposizione e sullo smantellamento di oggetti che celebrano i regimi sovietico e nazista nel territorio della Repubblica di Lettonia”, fornendo così una base giuridica alla distruzione dei monumenti dell’epoca socialista, in particolare dei memoriali dedicati all’Armata Rossa che liberò il paese dall’invasore nazifascista.
Sono gli stessi Paesi Baltici in cui – negli ultimi decenni – sono stati eretti monumenti agli “eroi” nazisti; in cui si sta diffondendo un grave clima di intolleranza, repressione e fascismo istituzionalizzati, oltre che ad un grave clima di elevata russofobia, fino a prendere in considerazione di definire la lingua russa come una “lingua straniera”. Non è nemmeno un caso che siano gli stessi Paesi che hanno dichiarato di voler lasciare la Convenzione di Ottawa sulle mine antiuomo in nome della “deterrenza”, in vista di una guerra tra NATO e Russia.
L’Unione Europea (UE) dovrebbe reagire a questi gravi attacchi alla libertà di espressione, di affiliazione e di associazione nei confronti di partito democratici che hanno sempre agito per il rispetto dell’integrità e della sovranità dei loro Paesi. Il Partito della Sinistra Europea (EL) ha chiesto più volte che l’Unione Europea, che mantiene le relazioni con questi governi, condanni queste messe in discussione delle libertà. E’ intollerabile che l’Unione Europea rimanga silente di fronte a questa deriva antidemocratica.